Studio Legale Avv. Giacomo Galeota

Stalking: il marito deve risarcire la ex moglie perseguitata

Stalking: il marito deve risarcire la ex moglie perseguitata

Giacomo Galeota Giacomo Galeota • Pubblicato il 08 gennaio 2024

Ad avviso della Cassazione il costante invio di messaggi, lettere, minacce e le ripetute violazioni di domicilio non configurano un serrato corteggiamento.

Giacomo Galeota
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Avvocato
Mi dedico all'attività professionale di Avvocato e, al contempo, all'attività divulgativa e formativa, pubblicando articoli e approfondimenti in materia di risarcimento danni, responsabilità civile, diritto penale e diritto di famiglia, partecipando ad eventi e corsi, organizzati in tutto il territorio nazionale, su tematiche attinenti alla protezione dei dati personali e sulle questioni di maggior interesse riguardanti il rapporto tra diritto e mondo del web e delle nuove tecnologie.
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Nota del Dott. Andrea Basso

 

La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 26182 del 7 luglio 2022, sotto allegata, ha confermato la sentenza di primo e secondo grado, con la quale un uomo era stato condannato al risarcimento di € 18.000,00 in favore della ex moglie, vittima di stalking.

Il G.U.P del Tribunale di Aosta, in data 22 dicembre 2020, aveva condannato l’uomo, con rito abbreviato, alla pena di anni due e mesi otto di reclusione per il reato di atti persecutori ex art. 612-bis c.p., aggravato dall'aver commesso il fatto nei confronti dell'ex coniuge, nonchè per i reati di violazione di domicilio ex art. 614 c.p., nei confronti della moglie e della vicina di casa, e di lesioni aggravate, riconoscendo il vincolo della continuazione oltre all'aumento per la recidiva. Inoltre, l'uomo era stato condannato alla pena di mesi 10 di reclusione per avere violato reiteratamente le prescrizioni impartitegli dal Tribunale di Torino.

Stante l'accertata responsabilità penale, l'imputato era stato altresì condannato al risarcimento del danno in favore della moglie, costituitasi parte civile, quantificato dal Tribunale in € 18.000,00, oltre spese di costituzione e rappresentanza.

In secondo grado, la Corte di appello di Torino aveva parzialmente riformato la pronuncia di primo grado, rideterminando la pena in anni tre di reclusione, stante il ravvisato vincolo della continuazione tra i reati contestati.

L'uomo ha così proposto ricorso per Cassazione avverso la sentenza della Corte torinese, lamentando, in primo luogo, che i reiterati comportamenti posti in essere nei confronti della ex moglie erano da circoscrivere ad un serrato corteggiamento amoroso, finalizzato a riallacciare il rapporto sentimentale, senza integrare gli elementi costitutivi del delitto di atti persecutori (cd. stalking).

Inoltre, l'imputato ha contestato l'eccessiva severità della pena comminata, che doveva essere contenuta nei minimi edittali, nonchè la mancata concessione delle attenuanti generiche, priva di giustificazioni tenuto conto del buon comportamento processuale del ricorrente.

In ultimo, ad avviso del ricorrente, anche la somma liquidata alla parte civile a titolo di risarcimento del danno doveva essere riformata, in quanto eccessiva ed illegittima, considerando il “contenuto inoffensivo delle lettere d'amore”.

La Corte di Cassazione, tuttavia, ha dichiarato il ricorso inammissibile.

In primo luogo, argomentano gli Ermellini, il ricorso si limita a proporre una diversa ricostruzione della vicenda, malgrado, in sede di legittimità, non sia possibile sindacare sulla ricostruzione dei fatti operata dal giudice di merito, ad eccezione delle ipotesi di manifesta illogicità della motivazione e di travisamento della prova.

Inoltre, nella sentenza impugnata viene indicato che la persona offesa ha deciso di separarsi dal marito proprio a causa della “progressione degli atteggiamenti persecutori e minacciosi tenuti ai suoi danni dal ricorrente, comportamenti concretizzatisi in messaggi, telefonate, lettere, violazioni di domicilio, anche in danno della vicina di casa e tali da generare ansia e paura nella B. e costringerla ad abbandonare il proprio domicilio, rifugiandosi in un luogo tenuto nascosto anche alle forze di polizia”. Tali condotte hanno dunque causato alla donna crisi di ansia, oltre alla necessità di dover cambiare il proprio domicilio: sussistono dunque tutti gli eventi che integrano il reato ex art. 612-bis c.p.

La Corte prosegue poi rimarcando le differenze tra il delitto di atti persecutori e il reato di molestia o disturbo alle persone ex art. 660 c.p., invocato dal ricorrente nel descrivere i propri atteggiamenti come serrato corteggiamento amoroso.

In entrambe le ipotesi, le condotte possono arrecare molestie alla persona offesa, ma le conseguenze della condotta sono diverse, in quanto: “si configura il delitto di cui all'art. 612-bis c.p. solo qualora le condotte molestatrici siano idonee a cagionare nella vittima un perdurante e grave stato di ansia ovvero l'alterazione delle proprie abitudini di vita, mentre sussiste il reato di cui all'art. 660 c.p. ove le molestie si limitino ad infastidire la vittima del reato (Sez. 5, n. 15625 del 09/02/2021 Rv. 281029)”.

Dunque, la sentenza impugnata ha correttamente qualificato gli eventi di cui al capo di imputazione nella fattispecie di atti persecutori, atteso che la donna è stata vittima di “una vera e propria "persecuzione" generatrice di ansia e paura, non desistendo il ricorrente dalla condotta”.

Per quanto riguarda l’elemento soggettivo del reato, poi, la decisione impugnata afferma chiaramente che in capo al ricorrente sussiste il dolo generico, poiché il tenore dei numerosi e ripetitivi messaggi acquisiti, recriminatori nei confronti della persona offesa, dimostra la piena consapevolezza della condotta posta in essere dall' imputato, a cui la donna aveva chiesto di lasciarla in pace.

Allo stesso modo, anche gli altri motivi di ricorso per Cassazione sono stati respinti.

Infatti, i giudici di legittimità hanno rilevato che la Corte di appello di Torino ha ben indicato nella propria decisione le ragioni alla base della mancata concessione delle attenuanti generiche, ossia il fatto che l'imputato avesse precedenti anche specifici, oltre alla gravità complessiva dei fatti.

Per quanto riguarda invece le statuizioni civili contenute nella decisione impugnata, il ricorrente si è limitato a riproporre quanto già dedotto nell'atto di appello, nonostante ciò fosse stato disatteso già in quella sede.

In appello era stato infatti sottolineato che la censura era generica e priva di motivazione, oltre al fatto che la pretesa risarcitoria era stata determinata alla luce del grave pregiudizio psicologico subito dalla persona offesa e dalla durata delle condotte incriminate.

Per tali ragioni, dichiarato il ricorso inammissibile, il ricorrente è stato condannato a pagare le spese processuali e a rifondere allo Stato le spese di rappresentanza e difesa sostenute dalla parte civile, ammessa al patrocinio a spese dello Stato, nonché a versare la somma di € 3.000 in favore della Cassa delle Ammende.

 

 

In allegato ordinanza della Cassazione n. 26182 del 07 luglio 2022

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