Studio Legale Avv. Giacomo Galeota

Molestie telefoniche: l’invio di messaggi Whatsapp integra il reato

Molestie telefoniche: l’invio di messaggi Whatsapp integra il reato

Giacomo Galeota • Pubblicato il 27 ottobre 2023

Per la Cassazione, quando la condotta è fastidiosamente insistente ed invadente, è sufficiente ad integrare il reato che l'agente sia consapevole di tale suo modo di fare

Giacomo Galeota
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Nota del Dott. Andrea Basso

 

Con la sentenza n. 37974 depositata in data 22/10/2021 e sotto allegata, la Cassazione ha affermato che anche l’utilizzo di messaggi Whatsapp può integrare gli estremi del reato di molestie ex art. 660 c.p.

Nel febbraio 2020, il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Palermo, con rito abbreviato, ha condannato un uomo alla pena di € 200,00 di ammenda per il reato di molestie ex art. 660 c.p., in quanto era stato accertato che l’imputato, nel febbraio 2015, aveva recato disturbo ad una donna, agente di Polizia Municipale, inviandole numerosi messaggi sul proprio telefono cellulare. Il G.U.P. aveva ravvisato anche le aggravanti comuni ex art. 61 n. 1 e 2 c.p., in quanto il reato di molestie era stato commesso per un biasimevole motivo, ovvero quello di precostituirsi versioni di comodo da fornire all’autorità giudiziaria nell’ambito di un altro procedimento penale, nel quale l’uomo risultava imputato per i reati di abuso di ufficio e falso in atto pubblico.

L’uomo ha dunque presentato ricorso in Cassazione avverso tale sentenza, lamentando l’inapplicabilità del reato di molestie nella fattispecie, atteso che i messaggi inviati con gli attuali sistemi di messaggistica istantanea non hanno carattere invasivo, perché il destinatario può sottrarvisi bloccando l’utente sgradito, senza compromettere il pieno utilizzo del proprio telefono. Tale caratteristica sarebbe perciò estranea alle ragioni di tutela penale di cui al reato in esame.  

Tuttavia, i giudici di legittimità hanno rigettato le eccezioni del ricorrente, dichiarando infondato il ricorso.

Gli Ermellini, nel proprio iter logico, sono partiti dalla considerazione secondo cui la materiale commissione dei fatti da parte dell’imputato non è in discussione, in quanto l’uomo non ha mai negato di aver inviato numerosi sms e messaggi Whatsapp alla persona offesa, anche in orari serali e notturni, per oltre una settimana.

La necessità era dunque quella di verificare se tale condotta potesse essere riconducibile al reato di molestie ex art. 660 c.p.

In proposito, è stato preliminarmente precisato che la fattispecie criminosa in discorso ha quale finalità principale quella di tutelare la tranquillità pubblica per l'incidenza che il suo turbamento ha sull'ordine pubblico, data l'astratta possibilità di reazione. L'interesse privato individuale riceve una protezione soltanto riflessa e la tutela penale è accordata anche senza e pur contro la volontà delle persone molestate o disturbate”.

La molestia è dunque costituitadall’interferenza non accetta che altera dolosamente, fastidiosamente o importunamente, in modo immediato o mediato, lo stato psichico di una personamentre l’atto è molesto quando, oltre a risultare sgradito a chi lo riceve, è ispirato da motivo biasimevole, ovvero riprovevole, o è petulante, ossia pressante ed indiscreto, idoneo ad interferire nella sfera privata di altri attraverso una condotta fastidiosamente insistente e invadente.

Per quanto riguarda invece la commissione del reato a mezzo del telefono, tale strumento assume rilevanza “proprio per il carattere invasivo della comunicazione alla quale il destinatario non può sottrarsi, se non disattivando l'apparecchio telefonico; la comunicazione telefonica comporta, infatti, una immediata interazione tra il chiamante e il chiamato e una diretta intrusione del primo nella sfera delle attività del secondo”.

Ebbene, già a partire dalla sentenza n. 36779 del 27/09/2011 cd. “Ballarino” in tema di molestie a mezzo della posta elettronica, gli Ermellini hanno equiparato il termine “telefono” contenuto nella norma in esame a qualsiasi mezzo di trasmissione, tramite rete telefonica e rete cellulare delle bande di frequenza, di voci e di suoni imposti al destinatario, senza che lo stesso abbia possibilità di sottrarsi alla immediata interazione con il mittente.

La Corte ha dato così centralità al carattere invasivo della comunicazione non vocale, circoscrivendo l’esito della condotta penalmente rilevante nella percezione obbligata, da parte del destinatario, del ripetuto avvertimento acustico, che può rivelarsi molesto, proprio come i continui squilli telefonici, in quanto idoneo a determinare una significativa intrusione nell’altrui sfera personale, ingenerata dall’attività di comunicazione in sé, a prescindere dal contenuto del messaggio.

Ciò che rileva è dunque il carattere invasivo della comunicazione non vocale, rappresentato dalla percezione immediata che il destinatario ha dell’arrivo del messaggio tramite il relativo avvertimento acustico. Se a ciò aggiungiamo l’ulteriore profilo di invasività, costituito dalla percezione immediata e diretta del contenuto del messaggio attraverso l'anteprima di testo che compare sulla schermata di blocco, ne deriva che la distinzione tra messaggistica istantanea e messaggi di testo telefonici (sms) è ormai insussistente, atteso che entrambi possono realizzare in concreto una diretta e immediata intrusione del mittente nella sfera delle attività del ricevente.

Sotto un diverso profilo, la possibilità di bloccare il destinatario del messaggio non è decisiva per escludere l’invasività, in quanto analoghe modalità sono previste anche per evitare la ricezione degli sms sgraditi, nonché delle chiamate telefoniche provenienti da un'utenza sgradita, sia per il telefono fisso che per il cellulare. Peraltro, il reato di molestie è diretto a prevenire il turbamento della tranquillità pubblica attuato mediante l'offesa alla quiete privata e non alla libertà di comunicazione del destinatario dell'atto molesto o di disturbo.

Perciò, ad avviso della Corte, “ciò che rileva è l'invasività in sè del mezzo impiegato per raggiungere il destinatario, non la possibilità per quest'ultimo di interrompere l'azione perturbatrice, già subita e avvertita come tale, ovvero di prevenirne la reiterazione, escludendo il contatto o l'utenza sgradita senza nocumento della propria libertà di comunicazione”.

Nella fattispecie in esame, la condotta dell’imputato è stata dunque valutata come pressante, indiscreta, impertinente, ovverosia petulante, e ogni eventuale reciprocità o ritorsione delle molestie è stata esclusa in modo deciso, posto che la donna si era limitata ad inviare messaggi di risposta, sia pure utilizzando espressioni colorite, solo a seguito delle sollecitazioni e importune richieste dell’imputato.

L’impugnata sentenza del G.U.P. di Palermo è pertanto corretta, in quanto, nel caso di specie, i messaggi Whatsapp e gli sms, inviati in modo reiterato anche in orari serali e notturni, hanno determinato un non trascurabile turbamento della serenità e della vita quotidiana della ricevente.

Al riguardo, neppure può sostenersi che l’imputato non si sia avveduto dell'oggettivo disturbo arrecato e della inutile petulanza del suo agire, dal momento che la donna aveva esortato lo stesso ad interrompere tali atteggiamenti.

Considerato che, nel reato di molestie, la petulanza costituisce una modalità della condotta prima ancora che un atteggiamento soggettivo, qualora la condotta risulti obiettivamente petulante, ovvero fastidiosamente insistente e invadente, è sufficiente ad integrare il reato la circostanza che l'agente sia consapevole di tale suo modo di fare, a nulla rilevando la pulsione che lo muove.

Per tutte queste ragioni, la Cassazione ha annullato la sentenza impugnata limitatamente alla pena, che è stata rideterminata in Euro 150 di ammenda, mentre la condanna alla rifusione delle spese in favore della parte civile è stata esclusa dai giudici di legittimità, poiché, tale pronuncia è illegittima quando nella sentenza di primo grado sia stata rilevata e dichiarata l’estinzione del reato precedentemente intervenuta.

 

In allegato il testo della sentenza n. 37974 del 22 ottobre 2021 emessa dalla Cassazione

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