Studio Legale Avv. Giacomo Galeota

Mantenimento: niente reato per il padre che riduce da sé l'assegno al figlio

Mantenimento: niente reato per il padre che riduce da sé l'assegno al figlio

Giacomo Galeota Giacomo Galeota • Pubblicato il 27 ottobre 2023

Cassazione: dall'inadempimento non deriva automaticamente il reato, dovendo il giudice valutare se la condotta ha inciso in maniera apprezzabile sui mezzi economici che l'onerato deve fornire

Giacomo Galeota
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Avvocato
Mi dedico all'attività professionale di Avvocato e, al contempo, all'attività divulgativa e formativa, pubblicando articoli e approfondimenti in materia di risarcimento danni, responsabilità civile, diritto penale e diritto di famiglia, partecipando ad eventi e corsi, organizzati in tutto il territorio nazionale, su tematiche attinenti alla protezione dei dati personali e sulle questioni di maggior interesse riguardanti il rapporto tra diritto e mondo del web e delle nuove tecnologie.
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Non commette il reato di cui all'art. 570, secondo comma, c.p., il genitore che versa solo in parte, dunque in misura ridotta, l'assegno di mantenimento nei confronti del figlio.

La fattispecie delittuosa è integrata solo qualora tale condotta abbia inciso in maniera apprezzabile sui mezzi di sussistenza che l'onerato è tenuto a fornire al minore, tenuto conto della di tutte le altre circostanze (ovvero delle spese effettivamente sostenute e delle somme che sono state versate). Resta salva la possibilità per la persona offesa di agire in sede civile per il recupero delle somme non versate.

Lo ha confermato la Corte di Cassazione, sesta sezione penale, con la sentenza n. 29896/2019 (qui sotto allegata).

  1. Il caso
  2. La violazione degli obblighi di assistenza familiare
  3. Mantenimento versato solo in parte? Non scatta automaticamente il reato

Il caso

La Suprema Corte ha così respinto il ricorso della Procura di Bologna nella vicenda riguardante un uomo che aveva versato in misura ridotta l'importo fissato dal giudice per il mantenimento del figlio minore. Da qui la querela della ex e madre del bambino che aveva fatto scattare l'accusa di violazione degli obblighi di assistenza familiare.

Tuttavia, il GIP aveva prosciolto l'indagato ritenendo insussistente il fatto poiché la condotta sanzionata: secondo il giudice, infatti, l'art. 570, comma 2, c.p., presuppone uno stato di bisogno, nel senso che l'omessa assistenza deve avere l'effetto di fare mancare i mezzi di sussistenza che comprendono quanto necessario per la sopravvivenza, situazione che non si identifica né con l'obbligo di mantenimento, né con quello alimentare, aventi una portata più ampia.

Atteso l'inadempimento solo parziale delle obbligazioni di pagamento incombente sull'indagato non poteva dirsi sufficientemente accertata la ricorrenza di uno stato di bisogno ai fini della configurazione della fattispecie penale. Invece, per i crediti nel frattempo maturati, la persona offesa avrebbe potuto esperire l'azione civile per il recupero.

Una decisione confermata anche in Cassazione nonostante il ricorso del Procuratore Generale presso la Corte di appello secondo cui lo stato di bisogno sarebbe insisto nei confronti del minore che non è in grado di procacciarsi un debito proprio; pertanto, secondo parte ricorrente, non rileverebbe in senso esimente la parzialità dell'inadempimento in quanto la giurisprudenza richiede che l'inadempimento sia serio e sufficientemente protratto.

La violazione degli obblighi di assistenza familiare

Doglianze che non convincono gli Ermellini. Indubbiamente la pacifica giurisprudenza in materia di violazione degli obblighi di assistenza familiare ha affermato il principio che la minore età dei discendenti, destinatari dei mezzi di sussistenza, rappresenta in re ipsa una condizione soggettiva dello stato di bisogno, che obbliga i genitori a contribuire al loro mantenimento, assicurando i predetti mezzi di sussistenza.

In particolare, il reato di cui all'art. 570, comma 2, c.p., si configura anche quando uno dei genitori ometta la prestazione dei mezzi di sussistenza in favore dei figli minori o inabili, ed al mantenimento della prole provveda in via sussidiaria l'altro genitore.

Tanto premesso, nel caso di specie la questione che rileva è se il comportamento posto in essere dall'imputato abbia fatto venir meno, in concreto, la fruizione dei mezzi di sussistenza da parte dell'avente diritto, risultando l'assegno da lui mensilmente versato nel periodo in esame, ma in misura ridotta e contenuta (per una parte versata spontaneamente, per altro periodo sulla base del provvedimento del Tribunale per i minorenni).

Ai fini della configurabilità del menzionato reato, tuttavia, la giurisprudenza ritiene che nell'ipotesi di "corresponsione parziale" dell'assegno stabilito in sede civile per il mantenimento, il giudice penale deve accertare se tale condotta abbia inciso apprezzabilmente sulla disponibilità dei mezzi economici che il soggetto obbligato è tenuto a fornire al beneficiario, tenendo conto, inoltre, di tutte le altre circostanze del caso concreto, ivi compresa la oggettiva rilevanza del mutamento di capacità economica intervenuta, in relazione alla persona del debitore, mentre deve escludersi ogni automatica equiparazione dell'inadempimento dell'obbligo stabilito dal giudice civile alla violazione della legge penale (cfr. Cass. n. 15898/2014).

Mantenimento versato solo in parte? Non scatta automaticamente il reato

Ne consegue che il reato non può ritenersi automaticamente integrato con l'inadempimento della corrispondente normativa civile e, ancorché la violazione possa conseguire anche al ritardo, il giudice penale deve valutarne in concreto la "gravità", ossia l'attitudine oggettiva ad integrare la condizione che la norma tende, appunto, ad evitare.

Dai dati accertati dal giudice di merito appare che il padre, nel periodo in contestazione, non aveva versato solo una parte delle somme (nel 2012 la somma di 600 euro, nel 2013 quella di 1.100 euro, nel 2014 quella di 378 euro), ma in generale aveva sempre costantemente contribuito al mantenimento del figlio, pagando anche le spese straordinarie della refezione scolastica e corrispondendo tutto l'occorrente nei periodi che il minore trascorreva in sua compagnia.

Il Procuratore ricorrente, invece, ha trascurato di valutare se il ridotto adempimento avesse determinato il mancato soddisfacimento dell'effettivo stato di bisogno del minore: secondo i giudici, infatti, con il suo comportamento, l'imputato non ha fatto venir meno, in concreto, la fruizione del mezzi di sussistenza da parte dell'avente diritto, risultando l'assegno da lui mensilmente versato nel periodo in esame bensì inferiore, ma in misura alquanto ridotta e contenuta, rispetto a quella poi determinata dal Giudice.

 

Fonte: studiocataldi.it

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