Studio Legale Avv. Giacomo Galeota

Figli trentenni disoccupati: l'obbligo di mantenimento del genitore non può andare avanti per sempre

Figli trentenni disoccupati: l'obbligo di mantenimento del genitore non può andare avanti per sempre

Giacomo Galeota Giacomo Galeota • Pubblicato il 27 ottobre 2023

La Cassazione ritiene che il figlio di genitori divorziati debba far fronte alla propria condizione avvalendosi anche degli strumenti di sostegno al reddito predisposti dallo Stato

Giacomo Galeota
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Avvocato
Mi dedico all'attività professionale di Avvocato e, al contempo, all'attività divulgativa e formativa, pubblicando articoli e approfondimenti in materia di risarcimento danni, responsabilità civile, diritto penale e diritto di famiglia, partecipando ad eventi e corsi, organizzati in tutto il territorio nazionale, su tematiche attinenti alla protezione dei dati personali e sulle questioni di maggior interesse riguardanti il rapporto tra diritto e mondo del web e delle nuove tecnologie.
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Nota del Dott. Andrea Basso

 

La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 29264 del 7 ottobre 2022, sotto allegata, è tornata a pronunciarsi sul mantenimento dei figli maggiorenni ma economicamente non indipendenti, con riguardo in particolare ai presupposti necessari a riconoscere il diritto all'assegno.

La Corte d'appello di Napoli, in sede di reclamo, aveva respinto la domanda presentata da un genitore, tramite il suo amministratore di sostegno, volta ad ottenere la revoca dell'assegno di mantenimento erogato in favore della figlia, disposto con la sentenza di divorzio.

Al momento del giudizio divorzile, l'istante era già sotto amministrazione, mentre la figlia, all'epoca di 22 anni e in possesso di semplice licenza media, era disoccupata dopo aver abbandonato un corso di estetista: dunque, la difficile condizione occupazionale della ragazza era già nota ben prima dell'instaurazione del giudizio per la revoca.

La ragazza, dal canto proprio, sosteneva di aver tentato di reperire un'occupazione, sia presso l'impresa di pulizia dei nonni materni sia presso l'attività commerciale gestita dalla madre, ma i compensi settimanali di € 50,00 al mese, peraltro percepiti in nero, erano assolutamente insufficienti a garantirle l'indipendenza economica.

Ad avviso della Corte d'appello, la revoca dell'assegno di mantenimento non poteva giustificarsi con il semplice avanzare dell'età della ragazza, specie tenuto conto che la capacità lavorativa della stessa era stata utilizzata in lavori al nero a malapena retribuiti, peraltro nel drammatico quadro in cui versa il mercato del lavoro al sud d'Italia.

Allo stesso modo, il raggiungimento dell'indipendenza economica non poteva intendersi dimostrato neppure dal fatto che la ragazza avesse avuto una bimba, in quanto la ragazza aveva continuato a vivere con la madre, mentre il compagno, cui spettava l'impegno al mantenimento, lavorava come pizzaiolo ed aveva continuato a vivere nella sua casa familiare.

Il genitore non ha condiviso le considerazioni della Corte d'appello ed ha proposto ricorso per Cassazione, articolato in tre motivi.

Ad avviso del ricorrente, infatti, la Corte d'appello partenopea avrebbe erroneamente ritenuto che il trascorrere del tempo e il progredire dell'età della figlia non costituirebbero di per sè giustificati motivi per la modifica delle condizioni di divorzio. Inoltre, la Corte avrebbe erroneamente ritenuto che l'obbligo di mantenimento del figlio maggiorenne deve rimanere, malgrado la crescita della figlia, e ciò in assenza di circostanze che mostrassero concretamente un comportamento responsabile e idoneo a rendersi indipendente. Infine, il giudice non avrebbe valutato adeguatamente il diverso atteggiarsi del principio di ripartizione dell'onere della prova dopo il raggiungimento della maggiore età.

A fronte di tali argomentazioni, gli Ermellini hanno accolto il ricorso del genitore, cogliendo l'occasione per ribadire il proprio orientamento in tema di diritto al mantenimento per figli maggiorenni non autosufficienti.

In particolare, secondo la Suprema Corte, i presupposti su cui si fonda l'esclusione del diritto al mantenimento, sono:

- l'età del figlio, “destinata a rilevare in un rapporto di proporzionalità inversa per il quale, all'età progressivamente più elevata dell'avente diritto si accompagna, tendenzialmente e nel concorso degli altri presupposti, il venir meno del diritto al conseguimento del mantenimento”;

- l'effettivo raggiungimento di un livello di competenza professionale e tecnica del figlio, nonché il suo impegno per reperire una occupazione nel mercato del lavoro.

Tali presupposti devono essere provati dal genitore che si oppone alla domanda e spetterà al giudice di merito accertarne la sussistenza.

Tuttavia, proseguono i giudici di legittimità, “il figlio di genitori divorziati, che abbia ampiamente superato la maggiore età, e non abbia reperito una occupazione lavorativa stabile o che, comunque, lo remuneri in misura tale da renderlo economicamente autosufficiente, non può soddisfare l'esigenza a una vita dignitosa, alla cui realizzazione ogni giovane adulto deve aspirare, mediante l'attuazione mera dell'obbligo di mantenimento del genitore, quasi che questo sia destinato ad andare avanti per sempre; egli deve far fronte al suo stato attraverso i diversi strumenti di ausilio, ormai di dimensione sociale, che sono finalizzati ad assicurare sostegno al reddito”.

Resta al di fuori di tale discorso solo l'obbligazione alimentare, che nell'ambito familiare è finalizzata a far fronte ad ogni essenziale esigenza di vita dell'individuo bisognoso.

Nel caso di specie, il decreto della corte d'appello di Napoli non rispetta tali principi, a partire dall'errata considerazione circa l'ininfluenza del progredire dell'età della figlia (oggi prossima ai trent'anni) e della sua attuale condizione di madre.

A ben vedere infatti, le considerazioni di carattere sociologico svolte nel provvedimento impugnato a proposito delle difficili condizioni del mercato del lavoro al Sud Italia, non paiono idonee a giustificare la persistenza di un obbligo di mantenimento da parte del genitore sottoposto ad amministrazione di sostegno per disabilità. Semmai, tali aspetti dimostrano che la figlia avrebbe necessità di far ricorso agli strumenti di sostegno sociale attualmente in vigore, mentre un atteggiamento passivo sotto tale profilo non può comportare un diritto al mantenimento a tempo indeterminato.

Per tali ragioni, dunque, la Suprema Corte ha accolto il ricorso, disponendo la cassazione del decreto impugnato, con rinvio alla Corte d'Appello di Napoli, la quale dovrà pronunciarsi sulla medesima questione facendo propri i principi esposti, provvedendo inoltre alle spese del giudizio di legittimità.

 

In allegato l'ordinanza n. 29264 del 07 ottobre 2022

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