Studio Legale Avv. Giacomo Galeota

Detenzione illecita a fini di spaccio di sostanza stupefacente del tipo cocaina

Detenzione illecita a fini di spaccio di sostanza stupefacente del tipo cocaina

Giacomo Galeota Giacomo Galeota • Pubblicato il 11 dicembre 2023

Produzione, traffico e detenzione illeciti di sostanze stupefacenti o psicotrope

Giacomo Galeota
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Avvocato
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Pronunciandosi su un ricorso proposto avverso la sentenza con cui il giudice di appello aveva confermato la condanna inflitta in primo grado ad un imputato per il reato di detenzione illecita a fini di spaccio di sostanza stupefacente del tipo cocaina (droga pesante) e del tipo hashish e marijuana (droghe leggere), escludendo che il fatto potesse essere inquadrato nella ipotesi della c.d. lieve entità, prevista dal co. 5 dell’art. 73, TU Stup., la Corte di Cassazione (sentenza 7 gennaio 2020, n. 114) – nell’accogliere la tesi difensiva secondo cui la motivazione della Corte d’appello era censurabile quanto alla detenzione delle sostanze stupefacenti diverse dalla cocaina, tenuto conto della loro modestissima quantità - ha affermato che sebbene l'esito più comune, nel caso di contestuale detenzione di sostanze stupefacenti di diversa qualità, conduca in concreto ad una valutazione unitaria del fatto, non è in astratto da escludersi l'ipotesi che tale valutazione possa portare in alcuni casi a scindere la qualificazione giuridica del fatto, inducendo il Giudice a riconoscere che una delle violazioni registrate debba essere ricondotta nell'ambito dell'art. 73, comma 5, d.P.R. 309/90.

cura Redazione Wolters Kluwer

ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI

Conformi

Cass. pen. sez. U, n. 51063 del 27/09/2018

Difformi

Non si rinvengono precedenti

Prima di soffermarci sulla pronuncia resa dalla Suprema Corte, è opportuno qui ricordare che l’art. 73, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, sotto la rubrica «Produzione, traffico e detenzione illeciti di sostanze stupefacenti o psicotrope», punisce al co. 5 con le pene della reclusione da sei mesi a quattro anni e della multa da euro 1.032 a euro 10.329, ”salvo che il fatto costituisca più grave reato” e “senza l'autorizzazione di cui all'articolo 17”, la condotta di chiunque commette uno dei fatti previsti dal medesimo articolo (ossia, in base al co. 1: “coltiva, produce, fabbrica, estrae, raffina, vende, offre o mette in vendita, cede, distribuisce, commercia, trasporta, procura ad altri, invia, passa o spedisce in transito, consegna per qualunque scopo sostanze stupefacenti o psicotrope”; o, in base al co. 2: “importa, esporta, acquista, riceve a qualsiasi titolo o comunque illecitamente detiene”) che, per i mezzi, la modalità o le circostanze dell'azione ovvero per la qualità e quantità delle sostanze, è di lieve entità.

Per quanto qui di interesse, la giurisprudenza della S.C. era divisa tra due orientamenti in merito alla riconducibilità alla ipotesi del fatto lieve di quei fatti in cui il reo avesse avuto la “gestione” contemporanea di sostanze qualitativamente di tipo diverso, ossia appartenenti tutte alle tabelle delle droghe leggere o tutte delle droghe pesanti ovvero sia delle prime che delle seconde. Espressione del più rigoroso orientamento, in particolare, era quella giurisprudenza secondo cui, ai fini della concedibilità o del diniego della (allora) circostanza attenuante del fatto di lieve entità (art. 73, comma quinto, d.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309), il giudice è tenuto a complessivamente valutare tutti gli elementi indicati dalla norma, sia quelli concernenti l'azione (mezzi, modalità e circostanze della stessa), sia quelli che attengono all'oggetto materiale del reato (quantità e qualità delle sostanze stupefacenti oggetto della condotta criminosa), dovendo, conseguentemente, escludere la concedibilità dell'attenuante quando anche uno solo di questi elementi porti ad escludere che la lesione del bene giuridico protetto sia di "lieve entità" (tra le tante: Sez. 4, n. 38879 del 21/10/2005, F., CED Cass. 232428 che, da queste premesse, aveva ritenuto corretto e non manifestamente illogico il ragionamento del giudice di merito che aveva escluso la concedibilità dell'attenuante sul rilievo della gravità della condotta incriminata, trattandosi di detenzione per la vendita di sostanze diverse per tipologia - nella specie, cocaina, eroina e morfina - tale da dimostrare "che l'attività di spaccio era diretta ad un cospicuo e variegato numero di consumatori"). Espressione, invece, di un orientamento meno rigoroso, invece, era quella giurisprudenza che invece riteneva che, in caso di detenzione di quantità non rilevanti di sostanza stupefacente, la diversa tipologia della sostanza non potesse di per sè costituire ragione sufficiente ad escludere l'ipotesi di lieve entità di cui al all'art. 73, comma quinto, del d.P.R. n. 309 del 1990, qualora le peculiarità del caso concreto fossero indicative di una complessiva minore portata dell'attività svolta dallo spacciatore (tra le tante, da ultimo: Cass. pen. sez. 4, n. 48850 del 17/11/2016, B., CED Cass. 268218).

Il contrasto giurisprudenziale, come è noto, è stato di recente superato grazie all’intervento delle Sezioni Unite della S.C., che hanno infatti aderito a tale secondo orientamento, affermando il principio per cui la diversità di sostanze stupefacenti oggetto della condotta non è di per sé ostativa alla configurabilità del reato di cui all'art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990, in quanto l'accertamento della lieve entità del fatto implica una valutazione complessiva degli elementi della fattispecie concreta, selezionati in relazione a tutti gli indici sintomatici previsti dalla disposizione (Cass. Sez. U, n. 51063 del 9/11/2018, Murolo, CED Cass. 274076).

Tanto premesso, nel caso in esame, la Corte di appello aveva confermato la pena inflitta ad un imputato per i reati di cui agli artt. 73, comma 1 e 4, d.P.R. 309/90 per avere illecitamente detenuto, nella propria abitazione, grammi 50 di sostanza stupefacente del tipo cocaina suddivisa in 10 involucri, grammi 10 di hashish e grammi 3 di marijuana. Contro la sentenza, proponeva ricorso per cassazione l’imputato, sostenendo che, considerate le peculiarità della condotta, non doveva trovare applicazione il principio stabilito dalla recente pronuncia delle Sezioni Unite dì questa Corte in ordine alla valutazione unitaria da operarsi in relazione alla fattispecie di cui all'art. 73, comma 5, d.P.R. 309/90. Dato il modesto valore ponderale delle sostanze diverse dalla cocaina e le modalità della condotta, era consentito porre in essere una valutazione differenziata rispetto alle varie sostanze cadute in sequestro. Illogica e inadeguata era la motivazione offerta dalla Corte d’appello con riferimento alla detenzione delle sostanze stupefacenti diverse dalla cocaina. Considerato il peso di tali ultime sostanze sequestrate, pur volendo escludere che esse fossero destinate esclusivamente all'uso personale, i Giudici avrebbero dovuto pervenire ad un inquadramento sub quinto comma dell'art. 73 d.P.R. 309/90, anche tenuto conto dell'accertato consumo di tali sostanze da parte dell’imputato.

La Cassazione, nell’affermare il principio di cui in massima, ha accolto la tesi difensiva, in particolare rilevando che la motivazione contenuta in sentenza sulla esclusione della possibilità che lo stupefacente caduto in sequestro fosse destinato ad un uso personale e che fosse riconducibile alla fattispecie di cui all'art. 73, comma 5, d.P.R. 309/90, si attagliasse al quantitativo di cocaina, ma non alla droga "leggera", la quale non solo era presente nell'abitazione in un quantitativo non particolarmente rilevante, ma non era frazionata in dosi, come la cocaina. Come si legge nella motivazione della sentenza Murolo, in precedenza richiamata, sebbene l'esito più comune, nel caso di contestuale detenzione di sostanze stupefacenti di diversa qualità, conduca in concreto ad una valutazione unitaria del fatto, non è in astratto da escludersi l'ipotesi che tale valutazione possa portare in alcuni casi a scindere la qualificazione giuridica del fatto, inducendo il Giudice a riconoscere che una delle violazioni registrate debba essere ricondotta nell'ambito dell'art. 73, comma 5, d.P.R. 309/90.

Da qui, dunque, l’accoglimento del ricorso.

Riferimenti normativi:

Art. 73, co. 5, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309

Cassazione penale, sezione IV, sentenza 7 gennaio 2020, n. 114

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