Studio Legale Avv. Giacomo Galeota

Assegno di mantenimento ai figli ultramaggiorenni: la Cassazione mette un limite

Assegno di mantenimento ai figli ultramaggiorenni: la Cassazione mette un limite

Giacomo Galeota Giacomo Galeota • Pubblicato il 27 ottobre 2023

Per la Suprema Corte, il diritto al mantenimento del figlio ultra-maggiorenne, non ancora laureato, viene escluso dal principio di autoresponsabilità

Giacomo Galeota
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Avvocato
Mi dedico all'attività professionale di Avvocato e, al contempo, all'attività divulgativa e formativa, pubblicando articoli e approfondimenti in materia di risarcimento danni, responsabilità civile, diritto penale e diritto di famiglia, partecipando ad eventi e corsi, organizzati in tutto il territorio nazionale, su tematiche attinenti alla protezione dei dati personali e sulle questioni di maggior interesse riguardanti il rapporto tra diritto e mondo del web e delle nuove tecnologie.
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Nota dell’Avv. Andrea Basso

 

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 26875 del 20 settembre 2023, ha nuovamente preso posizione in merito al diritto del figlio ultramaggiorenne, studente universitario ma capace di trovare un impiego, a percepire un assegno di mantenimento dal genitore.

Nel 2015, il Tribunale di Roma aveva emesso sentenza di divorzio tra i due coniugi, stabilendo a carico del marito un assegno per l’importo di € 550,00 mensili in favore della ex moglie e un assegno di mantenimento di € 500,00 mensili in favore della figlia maggiorenne, oltre all’obbligo di pagamento nella misura dell’80% delle spese straordinarie necessarie alla ragazza.

L’uomo aveva impugnato tale decisione presso la Corte di Appello di Roma, la quale, con sentenza del febbraio 2020, aveva ridotto, a partire dal settembre 2019, l’assegno divorzile ad € 400,00 mensili e quello per il mantenimento della figlia ad € 350,00 mensili, statuendo altresì che il contributo alle spese straordinarie doveva essere diminuito al 50%.

Secondo la Corte di Appello, in particolare, il tenore di vita dell’uomo era superiore al reddito dichiarato, mentre la moglie era affetta da infermità psicotica che la rendeva inabile al lavoro e non aveva altre entrate oltre all’assegno divorzile. La figlia della coppia, invece, aveva deciso di cambiare facoltà universitaria, con buoni risultati, ed aveva dovuto affrontare la malattia della madre, di talché non vi era un atteggiamento di inerzia o di rifiuto ingiustificato al reperimento di un lavoro, che avrebbe potuto fondare il mancato diritto al mantenimento.

Avverso tale decisione l’uomo ha presentato ricorso per Cassazione, articolato in quattro motivi.

La Suprema Corte ha ritenuto inammissibili i primi tre motivi, in quanto gli stessi avrebbero richiesto un nuovo esame della vicenda concreta, già compiuto dai giudici di merito e sottratto al sindacato di legittimità.

Tuttavia, il quarto motivo è stato ritenuto parzialmente fondato, con riferimento in particolare ai requisiti per la permanenza dell’obbligo di mantenimento del figlio ultramaggiorenni in capo al genitore.

Lamenta infatti il ricorrente che la figlia, ormai trentaquattrenne, nel 2008, aveva ottenuto il diploma nella scuola di odontotecnico senza però cercare un lavoro attinente a tale titolo di studio ed anzi iscrivendosi prima alla facoltà di Scienze del Turismo, senza sostenere alcun esame per tre anni, salvo poi iscriversi alla facoltà di Filosofia, Lettere e Scienze umanistiche, dove, a dieci anni dall’iscrizione, deve ancora conseguire la laurea triennale.

Nell’esporre le proprie argomentazioni, gli Ermellini hanno prima di tutto voluto ribadire che, per giurisprudenza conforme, è colui che richiede il mantenimento a dover dimostrare le condizioni che fondano tale diritto, ossia la mancanza di indipendenza economica, l’aver curato al meglio la propria preparazione professionale e l’essersi attivato con medesimo impegno nella ricerca di un lavoro, specie tenuto conto che al raggiungimento della maggiore età si presume l’idoneità al reddito.

Ciò nonostante, precisa la Corte, mai il genitore è legittimato a negare il mantenimento al figlio per il semplice fatto che questo sia diventato maggiorenne, ove impegnato negli studi, mentre con l’aumentare dell’età del cd. “figlio adulto”, il diritto al mantenimento andrà valutato caso per caso, considerando le scelte di vita compiute.

Per quanto attiene invece ai presupposti per l’accertamento del diritto al mantenimento del figlio ultramaggiorenne, la Cassazione ha nuovamente riproposto i propri principi in materia, secondo cui, di regola, il figlio adulto non ha diritto alla contribuzione dei genitori poiché il mantenimento ha funzione educativa, oltre alla sussistenza del cd. principio di autoresponsabilità.

Da un lato, l’obbligo del mantenimento è collegato ai sensi dell’art. 30 Cost. al dovere di istruire ed educare i figli, ma tale correlazione si attenua sino a scomparire al compimento della maggiore età, allorchè il figlio inizia il suo inserimento nella società.

Inoltre, l’art. 337 bis c.c. - norma che fonda il diritto al mantenimento dei figli maggiorenni - va interpretato nell’ottica di un’assunzione di responsabilità da parte del figlio ormai maggiorenne, di talché il percorso di formazione dello stesso deve essere compatibile, oltre che con le sue inclinazioni ed aspirazioni, anche con le condizioni economiche dei genitori.

In altre parole, secondo gli Ermellini, “non sussiste per sempre, nella dovuta ricerca dell’aspirato lavoro, un rigido vincolo alla preparazione teorica in atto, dal momento che integra, invece, un dovere del figlio la ricerca, ad una data età, dell’autosufficienza economica, secondo il principio di autoresponsabilità nel saper contemperare le aspirazioni in direzione di un determinato lavoro con il concreto mercato che il lavoro offre. Occorre, di conseguenza, che sia provato dal richiedente il suo impegno rivolto al reperimento di una occupazione nel mercato del lavoro e la concreta assenza di personale responsabilità nel ritardo a conseguirla”.

Nel caso di specie, la Cassazione ha ritenuto errata la decisione dei giudici di secondo grado, secondo cui la figlia trentaquattrenne avrebbe diritto al mantenimento poiché la sua inerzia nel reperire un’occupazione e nel conseguire un titolo accademico si giustificherebbero con la necessaria assistenza da fornire alla madre, affetta da instabilità psichica.

Infatti, mentre la condizione di vulnerabilità psicologica della donna è idonea a giustificare la pretesa di mantenimento a carico dell’ex coniuge, lo stesso, in forza dei principi di diritto sopra esposti, non vale per la figlia, con la conseguenza che la vicenda dovrà essere rivalutata dai giudici di merito.

Dunque, i giudici di legittimità hanno espresso il seguente principio di diritto: “I principi della funzione educativa del mantenimento e dell’autoresponsabilità circoscrivono, in capo al genitore, l’estensione dell’obbligo di contribuzione del figlio maggiorenne privo di indipendenza economica per il tempo mediamente necessario al reperimento di un’occupazione da parte di questi, tenuto conto del dovere del medesimo di ricercare un lavoro contemperando fra di loro, ove si verifichi tale evenienza, il bisogno di particolari attenzioni o cure del genitore convivente con i doveri verso sé stesso, la propria vita e la propria indipendenza economica, potendo tale necessità unicamente giustificare, dopo la maggiore età, meri ritardi nel conseguire la propria autonomia economico-lavorativa, ma mai costituire, nel figlio adulto, che anzi è allora tanto più tenuto ad attivarsi, ragione della completa elisione dei doveri verso sé stesso, anche in vista della propria vita futura ”.

Alla luce di tutte le seguenti argomentazioni, la Suprema Corte ha cassato la sentenza impugnata, disponendo il rinvio della controversia alla Corte di Appello di Roma, in diversa composizione, la quale dovrà decidere applicando il principio di autoresponsabilità ed i principi di diritto sopra espressi, oltre a provvedere sulle spese del giudizio di legittimità.

 

In allegato, la sentenza n. 26875 della Sezione I Cassazione Civile, pubblicata in data 20 settembre 2023

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